Villa Clara, cartoline dall’inferno

Le fotografie di Josto Manca

Una mostra a Palazzo Regio: immagini in bianco e nero scattate per alcuni reportages degli anni Settanta da Josto Manca, storico fotografo dell’Unione Sarda. di MARIA PAOLA MASALA

Chi dunque guarirà coloro che si ritengono sani? (L. Anneo Seneca).

 

Ventiquattro cartoline dall’inferno. Spedite trentacinque anni fa da Villa Clara, Cagliari, arrivano ora in piazza Palazzo con la forza della loro testimonianza. Mostrano senza interpretarla una realtà di ordinario orrore, ricordano alla smemoratezza comune che questo è stato. Sono immagini in bianco e nero – la follia non ha colore – scattate per alcuni reportages degli anni Settanta da Josto Manca, storico fotografo dell’Unione Sarda, ora settantottenne. Accompagnavano una serie di articoli scritti da un giovane cronista e bastavano a se stesse. Bastano ancora oggi. A parlare al loro posto sono le facce che ritraggono, i corpi che mostrano, gli sguardi persi nel vuoto che catturano, i gesti di solidarietà che colgono. Figure appartenenti a un passato che appare remotissimo e non lo è. Donne e uomini con un nome, una famiglia, una storia, un cuore. Chiusi dietro una grata, per la nostra sicurezza di persone “normali”. Josto un giorno è andato a trovarli, armato della sua macchina fotografica e della sua pudica onestà. Li ha catturati senza offenderli, fissati sull’obiettivo senza umiliarli, restituiti al diritto della cronaca, e ora alla dignità della memoria.

Era finito a Villa Clara, spedito con Giorgio Pisano dal direttore Fabio Maria Crivelli a indagare sulle morti sospette di tre ricoverati. Ai suoi occhi nonostante tutto ingenui, si aprì con i cancelli del manicomio un mondo di feroce silenzio. Dapprima intimidito, poi sempre più coinvolto, scattò decine e decine di fotografie, chiedendo scusa per ognuna a quelle povere facce abbrutite e imbruttite dalla segregazione, a quei corpi nudi, o infagottati in abiti senza taglia.

Uomini e donne che ora rivivono in questa mostra. Si intitola “L’occhio della cronaca” e sarà inaugurata venerdì alle 11 a Palazzo Regio. O Viceregio, decidete voi. Promossa dalla Provincia con la collaborazione dell’Unione Sarda, curata da Giorgio Pisano e Max Solinas, foto editor del giornale, resterà allestita fino al 9 gennaio (l’ingresso è gratuito, dal lunedì a venerdì dalle 9 alle 20, il sabato e la domenica dalle 10 alle 14, dalle 16 alle 18). Sabato alle 17, un convegno affronterà il tema portante dell’iniziativa: “La pazzia in bianco e nero”. A parlare dei manicomi, prima e dopo Basaglia (lo psichiatra veneziano fautore della legge 180 del 1978 sulla loro chiusura) saranno il neuroscienziato Gianluigi Gessa, la psichiatra Nereide Rudas, il fotografo Uliano Lucas, che con Tatiana Agliani dedica a Josto Manca nel catalogo della mostra un lungo, affettuoso intervento. Una lezione sul fotogiornalismo che diventa testimonianza del valore di un percorso professionale. «Le foto di Josto Manca si posano su una condizione di degrado e di sofferenza, mostrandola nella sua evidenza, senza connotarla, ma con una sobrietà che è il discrimine con il vecchio scatto di cronaca che indugiava sulla deformazione, sull’orrore. Ed escono così dalla rappresentazione del girone infernale per mostrare un disagio, un’ingiustizia, persone».

Già persone. Quelle che ritornano nell’intervento in catalogo di Giorgio Pisano. È suo il riconoscimento più affettuoso per il collega e amico. «Josto Manca non è mai stato un paparazzo, nell’accezione generica del termine. I lunghi anni di lavoro trascorsi nella redazione dell’Unione Sarda sono serviti semmai a farne un uomo ancora più sensibile e rispettoso di quanto non fosse già».

Compagno di manicomio, per quei reportages da Villa Clara, e compagno – come altri cronisti di allora – di molti servizi di cronaca. Quella delle persone cosiddette normali, non toccate dallo stigma della follia. Ed ecco allora a Palazzo Regio-Viceregio, accanto alle foto di Villa Clara, altre sedici immagini. Il loro raggio d’azione è ampio: vanno dagli anni Settanta agli anni Novanta. A scovarle nelle scatole dei rullini sono stati i figli di Josto. Lui, come tutte le persone non consapevoli del loro valore, non ha tenuto conto in tutti questi anni del suo lavoro, e così rintracciare negativi, date, notizie – e scegliere – è stata un’impresa. Quattro fotografie raccontano Cagliari: la neve dell’85, il treno col casellante che attraversa la città, i casotti del Poetto, la processione a mare di Nostra Signora di Bonaria. La cronaca cronaca? Un jet inglese che precipita a Villasimius, il conflitto a fuoco di Osposidda, lo sgombero dei terreni di Settimo occupati dai proprietari, un’Ardia a Sedilo, tre minatrici in pausa pranzo. E ancora un imputato del processo Guglielmi che esce dal carcere, finalmente assolto, e abbraccia la sua bambina mai vista. E lo sport, i trionfi del Cagliari. Riva protettore laico della città e della Sardegna: abbracciato da Nené negli spogliatoi dopo la vittoria dello scudetto, accerchiato dai piccoli fan della curva. E Celentano in concerto in Sardegna agli inizi degli anni 70, Madre Teresa con l’arcivescovo Canestri e la gente di Cagliari. «Josto rivela in molti suoi scatti la padronanza del mezzo, la maturità del linguaggio visivo utilizzato, che supera spesso vecchi moduli compositivi, per ottenere attraverso l’uso di diversi obiettivi una foto più viva e vibrante».

Grandi stampe fotografiche 50 per 70 e un video multimediale, che resterà a futura memoria. Sbuca da un pentaprisma e accoglie all’ingresso della sala i visitatori della mostra. Interamente dedicato alla cronaca della follia – quella riconosciuta – rispetto alle fotografie di carta propone una maggior ricchezza e varietà di immagini: non solo Villa Clara ma anche l’ospedale psichiatrico di Dolianova. Il pianoforte di Robin Spielberg accompagna la lettura di alcuni brani tratti dal libro “Lista d’attesa”, dedicato all’esperienza oltre il muro.

L’occhio della cronaca, si diceva. Quello di una vita fa. Ora (e per ora) Villa Clara è altro. Dopo la definitiva chiusura del manicomio, è luogo di accoglienza e di scambio, palestra di cittadinanza attiva, scuola di scrittura. E consapevolezza che il disagio non si cura chiudendolo a chiave. «I matti – diceva Basaglia – sono uomini come gli altri, e l’ospedale psichiatrico deve smettere di assomigliare a un lager». Un lager, quello cagliaritano, dove un bel giorno – raccontano le cronache – i matti si misero a ballare, e coinvolsero nel loro ballo anche il loro nuovo impacciato amico fotografo.

Era l’inizio della speranza. Lo spiraglio di una nuova vita. A rappresentarlo, nella locandina della mostra, è la faccia sorridente di una donna che si affaccia sulla nostra presunta normalità dalla porta di una cella. Una giovane donna sdentata (la follia è brutta) che sembra invitarci a entrare. È quasi felice, protetta, chissà, da quella seconda ombra di cui parla Silvano Agosti in un bel film del 2000 dedicato alla chiusura dei manicomi. Voleva intitolarlo “Il muro”, quello che gli ospiti del manicomio di Gorizia buttarono giù simbolicamente a colpi di piccone in una notte. Scelse “La seconda ombra” dopo aver sentito un malato-attore che diceva: “Quando mi torturavano in manicomio, io mi rifugiavo nella mia seconda ombra e non sentivo niente”. La seconda ombra, il destino che una persona non ha vissuto e non sta vivendo. L’altrove, che è alienazione e salvezza.

A Basaglia, alla sua grande lezione di umanità, fa riferimento nell’introduzione del catalogo il presidente della Provincia Graziano Milia: «La follia è una condizione umana», cita. «In noi la follia esiste ed è presente come la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d’essere». Aggiunge di suo Milia: «La legge Basaglia prevedeva la chiusura immediata dei manicomi e molto altro. In realtà gli ultimi manicomi sono stati chiusi in Italia nell’ultimo scorcio del 2010 mentre sopravvivono strutture private che non si chiamano brutalmente manicomi ma lo sono a tutti gli effetti. Il nodo, a questo punto, è capire allora cos’è un ospedale psichiatrico. Cosa è stato davvero».

E qui entra in gioco l’importanza della mostra, «straordinario spaccato di quella realtà, di quel manicomio cagliaritano che si chiamava come una pensione per la terza età e che in verità è stato incolpevolmente e inconsapevolmente un lager. Incolpevolmente (e mi riferisco al personale, medici e infermieri soprattutto) perché la psichiatria dell’epoca era quella e nessun’altra, le terapie abbondavano (e abusavano) di psicofarmaci, la degenza non aveva grandi differenze con la detenzione. Inconsapevolmente perché tanti allora, in assoluta buona fede, erano convinti che il manicomio fosse l’unico modo per salvare i matti».

Oggi si riparla con insistenza della riapertura dei manicomi, del fallimento della legge. «E nessuno – denuncia il presidente della Provincia – che stia a domandarsi se sia stata attuata con coscienza e fino in fondo, se i malati liberati non siano stati lasciati allo sbando. A morire soli, nelle strade di una società che non era in grado di capirli e di aiutarli». Importante, proprio per questo, raccogliere la documentazione fotografica di Josto. «Manca è andato a Villa Clara per fare un servizio di cronaca. Non aveva attenzioni particolari per quel tipo di sofferenza né un’anima da denuncia civile. Ha registrato con distacco un inferno. E noi abbiamo il dovere di guardarlo, non possiamo voltarci da un’altra parte fingendo di non aver visto. Peggio, di non aver capito».

MARIA PAOLA MASALA

Articolo pubblicato per L’Unione Sarda on-line – Clicca qui per vedere la fonte

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